mercoledì 3 luglio 2013

Val di Fassa Running 2013

L'avevo detto: questo è un blog letterario ma non solo, oggi infatti parlo della Val di Fassa Running, giro podistico a tappe che ogni anno, attorno a fine giugno, schiera oltre quattrocento appassionati da tutta Italia, ognuno alla ricerca di qualcosa.
Un qualcosa che può essere una vittoria contro gli altri, ma ancor prima contro sé stessi, oppure può essere puro e semplice divertimento, voglia di evasione in mezzo a un panorama che ti rapisce insieme a coloro che condividono con te le passioni più solide, circondati dalla famiglia e magari anche da alcuni amici 'malati' come te.
Ciò che cerchiamo, là lo troviamo tutti, immersi nella fatica di una corsa probante (60 km in 5 giorni di corsa, con un solo giorno di pausa a spezzare il ritmo della gara) e alleviati dalla lontananza dal quotidiano, dalle magagne dell'ufficio o dalle bollette da pagare.
Siamo in vacanza!
Ma fatichiamo.
"Chi te lo fa fare?" mi chiedono in molti.
Non esiste una risposta che non sia incredibilmente scontata, come la domanda del resto, soprattutto per chi come me ha già affrontato quattro volte questa gara (completandola tre), perché correre è già di per sé una condizione mentale, non un semplice atto.
Immaginatevi centoventi anni fa se avessimo detto a una persona che il futuro sarebbe stato popolato di milioni e milioni di veicoli a benzina o elettrici capaci di trasportarci senza troppi impacci in giro per il paese: niente carrozze, niente treni, ma anche niente chilometri di marcia per raggiungere la scuola o il mercato del paese. Avrebbe sgranato gli occhi e desiderato di trovarcisi all'istante, pur di non dover più sorbirsi interminabili e scomodi spostamenti quotidiani.

Oggi abbiamo le automobili, gli scooter e tutto il resto, però alcuni di noi corrono. Iniziano nei modi più svariati, per buttare giù la pancetta, per tenere sotto controllo la pressione, per sfogarsi un po', perché più economico di una ipertecnologica palestra, poi continuano, perché il richiamo della corsa è così: un sussurro che quasi non comprendiamo, antico ma sempre presente, un alito che ci spinge anche a uscire di casa alle 5.40 del mattino per correre e arrivare in tempo in ufficio freschi e profumanti di docciaschiuma, un refolo che ci spinge a provare l'ebbrezza della maratona e, appunto della corsa in montagna.

E qui la corsa diventa qualcos'altro ancora, un'esperienza che l'imponente natura che ti circonda avvolge in un'aura mistica che ci accompagna nella fatica, come ci accompagnano i volti stravolti di chi condivide con noi le irte salite e le discese vertiginose che solo la montagna è in grado di regalare. I momenti prima della partenza, l'eccitazione mischiata ad una stanchezza che tappa dopo tappa va a mordere i nostri muscoli di corridori dilettanti, poi la gara, lo sforzo, sempre attenti a non scoppiare, sempre con qualcuno che va più lento di noi, più veloce, oppure che segue il nostro passo. Ed ecco che allora parte il film, quello in cui tutti si è attori coprotagonisti, perché tutto ciò che si vive lo si vive allo stesso modo; il primo come l'ultimo in classifica.
E le montagne sono lì che ti osservano e ti sorreggono, regalandoti scorci di natura incontaminata e panorami da paradiso.
E allora, come sei partito, arrivi. Stanco, acciaccato, stremato, ma arrivi. E tutti ti accolgono come il vincitore, come fanno anche quei pazzi della Gang dell'Umbria durante la gara a chi, man mano, li sorpassa, incoraggiandoci sempre a tener duro e a guardare avanti. E non importa quanto ci si mette, il piazzamento, perché l'essenza della corsa non è tanto chi la vince (gli albi d'oro bisogna pur redigerli e consegnarli a futura memoria) ma il fatto che c'è, che ci siamo tutti noi.

Infine capita anche l'evento che non ti aspetti: oltre trenta centimetri di neve all'ultimo traguardo, quello del tappone, quello dell'arrivo in salita. Quest'anno è stato al Lusia, quota 2.000 metri con gli ultimi tre chilometri percorsi in un paesaggio invernale, superando, venendo sorpassati, condividendo la propria solitudine con i monti, con la nebbia, col gelo e con chi, in quegli istanti, solo per il fatto di incrociare uno sguardo, diventa un tuo fratello.
Si è stanchi, ma le gambe vanno, il fiato regge, l'odore di un ricordo destinato ad essere indelebile ci pervade i sensi inebriandoci, spingendoci oltre quegli ultimi chilometri di freddo e salita fino al traguardo e oltre...

Cosa resta di tutto ciò?
Una medaglia, un pettorale sgualcito, alcune fotografie che ti ritraggono con smorfie improbabili, il ricordo flebile di una fatica immane e quello vivido di una settimana da sogno.
Tutto decanta e sedimenta, diventando roccia indistruttibile nella nostra mente.

"Non è meglio una spiaggia assolata e tanto ozio?"
Sì, non è malaccio... ma questa è un'altra cosa, non una semplice vacanza, non una semplice corsa, perché mentre nel mare tu ci entri dentro, è la montagna a entrare dentro te, per sempre.


1 commento:

  1. Condivido tutto, al 100%... bellissimo articolo, complimenti!!!
    L'ultimo pensiero, poi, è da Oscar!!!
    Viva la VdFR!!!

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