giovedì 20 novembre 2014

Il vetro è rotto...

Ieri non è stata una bella giornata per l'Italia: la sentenza, o meglio, l'annullamento della condanna sul caso Eternit è l'ennesimo esempio di Giustizia ingiusta. Migliaia di morti, migliaia di famiglie sbeffeggiate e derise da un sistema burocratico che ormai non ha più nulla di umano.
Questo fatto, come tanti altri - basti a pensare ai tanti scandali come quello della Thyssen o del terremoto a L'Aquila - non fa altro che continuare la periodica demolizione dell'Italia.
Nel 1969 un gruppo di sociologi americani fece uno studio molto importante a mio avviso per spiegare le dinamiche di una società ed elaborò la cosiddetta teoria delle finestre rotte. Sintetizzo al massimo: vennero lasciate due auto uguali incustodite in due luoghi diversissimi, una nel Bronx, l'altra a Palo Alto (zona molto benestante). Dopo una settimana l'auto lasciata nel Bronx era stata privata di ogni accessorio: finestrini rotti, ruote rubate, specchietti infranti e chi più ne ha più ne metta. L'auto a Paolo Alto era rimasta intatta.
Gli studiosi fecero poi una piccola cosa: ruppero il finestrino dell'auto di Paolo Alto e la macchina, come per magia subì lo stesso trattamento della sua sorella nel Bronx.
Quel segno di degrado dato dal finestrino rotto aveva dato il là all'opera di disfacimento che fino a quel momento non era minimamente cominciata.
In Italia, tra leggi Fornero, alluvioni, sentenze shock, tronisti, politici ladri e molto altro, siamo ormai in un paese con il vetro frantumato: sempre più gente si vergogna di essere italiana, manca la fiducia, il senso di appartenenza ad una società civile. Ognuno lotta per sé, spesso a scapito degli altri, e allora ecco il valzer dell'evasione fiscale, degli inganni e delle furberie, "perché se rubano tutti, cos'è, devo essere l'unico coglione che non lo fa?". Non è solo una questione di mafia, camorra e 'ndrangheta, il paese va allo sfascio perché siamo noi che ce lo stiamo mandando, imbeccati da pessimi suggeritori che ci dicono di volta in volta quali parti della macchina devastare.
Il caso Eternit è un'altra bella martellata all'automobile: a chi interessano pezzi di motore e due specchietti?

giovedì 14 agosto 2014

Con i tuoi occhi

Qualche giorno fa ho finito di leggere 'Con i tuoi occhi' di Lorenza Ghinelli. Lorenza è una giovane scrittrice ma non solo: è un'artista a tutto tondo (si occupa anche di teatro e ha collaborato alla sceneggiatura per 'Il tredicesimo apostolo'), con un palmares piuttosto invidiabile: il suo romanzo d'esordio 'Il divoratore' è stato un vero e proprio caso letterario, il successivo 'La colpa' è stato finalista al premio Strega e 'Con i tuoi occhi' rappresenta il terzo romanzo.
'Con i tuoi occhi' è la storia di Irma e Carla, due ragazze diversissime, la prima cresciuta sulle colline di Rimini in una famiglia con un padre troppo assente, una madre trasparente e una famiglia di origini pakistane come governanti la cui figlia Maya diventerà una vera e propria 'cattiva' maestra di vita per Irma. Già da bambina Irma conoscerà cos'è il sesso e cadrà in una spirale buia e profonda. Carla è invece una bambina di Favignana, cresciuta in una famiglia premurosa, con un'amicizia splendida con Salvatore. Ma nella splendida isola delle Egadi il lavoro non c'è più e la bambina, con un problema visivo che non le permette di vedere i colori del mondo che la circonda, è costretta ad emigrare e a trasferirsi a Bologna con i suoi, un po' per curarsi, molto per volontà del padre.
Le bambine diventano adolescenti, poi giovani donne portandosi dietro i loro segreti, finché il destino, dopo averle fatte incrociare fugacemente nei loro diciassette anni, le farà incontrare nuovamente nella Rimini dei giorni nostri.
Sia Irma che Carla si portano dietro i segni della loro infanzia, la prima soprattutto i traumi, la seconda il dolore profondo per la separazione dall'amata Favignana e dall'amico fraterno Salvatore, per le tribolazioni della sua famiglia e per un segreto che si porta dietro.
Non si può stare indifferenti a questo romanzo: è un romanzo che colpisce come un pugno, che accarezza e che trasporta come una canzone. Fatto di momenti crudi e di altri struggenti. Un libro scritto col cuore in cui si intravvede l'anima dello scrittore. Un romanzo che consiglio a chi non ha paura di scoprire il male, lo squallore, la perdizione, perché è solo attraverso la consapevolezza di questi che si possono apprezzare il bene, l'amore e la felicità.
Mi ha molto colpito una frase che qui riporto: "E' chi amo a dirmi chi sono, e mai il contrario. Hai mai amato tu?"
Meditate gente, meditate.

venerdì 8 agosto 2014

Le sultane

Dopo aver letto l'adrenalinico 'Radiomorte' di Gianluca Morozzi e il crepuscolare e splendido 'Il silenzio della bassa' di Massimo Fagnoni ho deciso di passare a 'Le sultane' (Elliot Edizioni) dell'amica Marilù Oliva.
Per chi non lo sapesse, Marilù è un autentico vulcano: oltre che madre e moglie è insegnante di scuola superiore, collaboratrice di testate giornalistiche e scrittrice sopraffina.
Chi sono le sultane?
Sono tre donne, tre vecchie (uso il termine vecchia non a caso): Wilma, Mafalda e Nunzia.
Nel loro condominio di via Damasco a Bologna, vivono la loro esistenza tra partite a scala quaranta, pettegolezzi e poco altro. A quel punto della vita si tende a tirare le somme e per tutte e tre il risultato è assai inferiore alle attese, ma ha senso ribellarsi, ha senso aspirare a qualcosa di nuovo?
Apparentemente no.
Ma un giorno, una giovane vicina di casa un po' tamarra di nome Carmela, un paio di scarpe rosa un po' frivole di Wilma, il fidanzato senegalese della tamarra di nome Bubi, cinque birilli, la derisione, la rabbia e la follia innescheranno un meccanismo che darà il là ad uno dei libri più divertenti che ricordi. Ma non fatevi trarre in inganno: non è una commedia, o meglio, può essere vista come commedia se poi gli si appiccica un bel 'nerissima' accanto. E non finisce qua, perché i personaggi delle tre vecchie sono ottimamente caratterizzati e Wilma, Mafalda e Nunzia prendono magicamente vita, pagina dopo pagina, con i loro problemi, i loro rimpianti e la fatica di un'età che non ammette diritto alla felicità. Sono donne, madri e mogli sconfitte dalla vita, il ticchettare del tempo si fa sentire sempre più, relegandole in un microcosmo che si presterebbe anche ad una rappresentazione teatrale. E lì la complessità del microcosmo si espande come per magia, facendoci capire che non importa essere giovani e belli per amare, per sognare, per sbagliare, per passare il limite, per ravvedersi, in una parola, per vivere. Basta solo essere vivi, per quanto vecchi.
Applausi.

martedì 20 maggio 2014

Rombano i motori


Manca poco, pochissimo!
E' questione di un paio di settimane, poi Dove oggi è già domani uscirà in libreria. Dopo le prime autopubblicazioni e l'esordio, condiviso insieme all'amica Emanuela con Lo specchio delle sue brame, eccoci giunti a questo appuntamento.
Non uso giri di parole: sono emozionato, non tanto perché il libro rappresenta il primo romanzo totalmente mio. Sono affezionato allo Specchio, ma con Dove oggi è già domani ho scritto una storia che, da lettore, avrei tanto voluto leggere e mi soddisfa enormemente vederlo completato e pronto per essere mandato in stampa. Ora tocca a voi, il mio l'ho fatto. Spero solo che abbiate voglia di leggere questo libro che non vuole insegnare niente a nessuno, ma che al contrario vuole farvi emozionare.
Non è una storia facile, lo capirete presto già sfogliando le prime pagine: parla di perdita, di amore, di dolore, di persone sconfitte dalla vita per le quali però il destino ha in serbo un'avventura pazzesca, soprattutto per Marco, il protagonista, che deve raccogliere una vita finita in pezzi e cercare di ricomporla frammento per frammento.
Ci proverà con tutte le sue forze, inconsapevole della sorte che l'attende, come inconsapevoli sarete voi, cari lettori, che pagina dopo pagina, entrerete nel mondo di Dove oggi è già domani.


lunedì 24 febbraio 2014

Volevo solo chiuderle gli occhi

Bologna, in un inverno cupo e gelido, fatto di poca luce e molte ombre, viene trovato il corpo di Giulia Marini, figlia del principe del foro Adolfo Marini. Il cadavere è stato rinvenuto nell'austero, centrale e lussuosissimo studio Marini e associati, universo costituito da una moltitudine di caratteri costretti a convivere fianco a fianco nella frenesia e nella competitività reciproca.
Tutto sembra muoversi a folle velocità, nemmeno la morte della perfida Giulia sembra dipanare l'aura di cattiveria, diffidenza e malignità che ammorba il gruppo, anzi, quasi ognuno sembra avere un motivo per gioire della morte della donna. Gli alibi scarseggiano, i segreti abbondano.
Particolare inquietante, Giulia è stata sottoposta ad un vero e proprio rito mortale, con occhi e bocca cuciti con ago e filo.
Gelosia, rabbia, vendetta?
O un serial killer all'inizio dell'opera?
Il commissario Volpi dovrà indagare a lungo per sbrogliare la matassa fino al colpo di scena finale, che come nel più classico dei gialli, lascia il lettore a bocca... cucita!

Di questo romanzo di Katia Brentani ho apprezzato l'ambientazione e il tono crepuscolare, il personaggio del commissario Volpi è costruito con garbo e con quella sofferenza che lo rende molto umano, molto vicino a chi legge. La trama è fatta di relazioni e rapporti insospettabili, alcuni strettamente legati alla vittima, altri facenti parte di un altro mondo.

Ma a volte i mondi collidono.

Un libro che si legge volentieri, con continui colpi di scena e con una scrittura asciutta che indugia sulla digressione il necessario (molto toccante il contesto familiare di Volpi e famiglia), preferendo tenere il lettore incollato agli eventi.
Non ci si annoia mai.
Una bella scoperta, a riprova del fatto che a Bologna e dintorni esistono un'infinità di talenti che definire scrittori 'locali' è quantomai riduttivo.

Questo mi ha dato lo spunto per un post che pubblicherò nei prossimi giorni, in cui parlerò anche di Polizia di Jo Nesbo.

mercoledì 29 gennaio 2014

I segnati

Ho appena letto questo libro in vista di una serata che il prossimo 25 febbraio terremo presso la Mediateca di San Lazzaro di Savena con l'autrice Emanuela Monti e l'amico Massimo Fagnoni.
Dovendo partecipare ad una presentazione in comune era più che doveroso leggere e conoscere che tipo di scrittrice fosse Emanuela Monti, così ho cominciato a leggere il libro e devo dire che mi è piaciuto.
La trama parla di una serie di delitti perpetrati in un centro termale dell'appennino tosco-romagnolo e si dipana come un classico giallo, di quelli vecchio stampo che potrebbero benissimo essere immersi nella campagna inglese. E la ricetta funziona, perché questo romanzo, che si consuma in fretta viste le 130 pagine circa e la scrittura splendida e al contempo leggera dell'autrice, si fa leggere con piacere invogliandoci sempre a continuare.
Parlavo di giallo 'classico' perché l'impressione, leggendo le prime pagine è quella, però questo romanzo riserva delle sorprese, sorprese che ci giungono all'improvviso, spiazzanti, girando la trama e sorprendendo tanto noi quanto i personaggi, ben caratterizzati e simpatici. Alla fine di tutto, in questo giallo ci sono tracce di grottesco, ma anche toni leggeri da commedia e lo sconcerto del noir in un finale che ti rimane addosso gelandoti.
Ma chi sono i segnati? Che significato hanno in tutto questo?
Scopritelo, ne vale la pena!

lunedì 20 gennaio 2014

Bologna razzista? Ma annatevene affanculo!

Premetto: non mi piacciono gli ultras, la loro filosofia di vita, il vivere la realtà sportiva come elemento totalizzante della propria esistenza, non mi piace. Non condivido (ci mancherebbe!) le violenze che troppo spesso vengono perpetrate in giro per l'Italia, presso le stazioni, negli autogrill e soprattutto fuori dagli stadi.
Premetto anche che forse, senza ultras, l'evento sportivo sarebbe migliore e più fruibile per quei tifosi (che sono la maggioranza) che trepidano per la loro squadra senza incendiare cassonetti, devastare autogrill eccetera, ma lasciatemi dire che tutta questo can can mediatico su Bologna razzista è un'immane cazzata.

Non so se detto ciò avrete la voglia di andare oltre, ma se vi piacciono i gialli con sorpresa finale, leggetemi, perché, alla fine, non capirete... o meglio, capirete che non avevate capito niente. :-)

Il TG1 ha stigmatizzato, tutti i telegiornali lo hanno fatto, dando voce all'indignato Gianni Morandi (a cui era stato giustamente sconsigliato di mettere Caruso allo stadio) che se la prende con la Bologna deteriore, quella razzista e magari xenofoba, quella violenta che mette lo striscione "Vesuvio lavali col fuoco", che fischia il capolavoro di Lucio Dalla in sfregio alla sua memoria e al doveroso senso di ospitalità verso Napoli e i napoletani.

Ebbene, questi signori, Morandi compreso, non hanno capito nulla.

Chiedo a chi legge se si è mai chiesto come mai le curve vengono chiuse sempre dopo una partita contro il Napoli. Chiedo perché, se Bologna è razzista, o meglio, se quei mille deficienti sono razzisti, non lo siano con i catanesi (che peraltro hanno un bel vulcano anche loro) o con i palermitani, o perché magari sono gemellati con i terroni della Nocerina.

Chi mi sa rispondere?

C'è una sola risposta: dinamiche ultras, contestazione contro Giampaolo Tosel, il giudice sportivo. E Napoli cosa c'entra? Direte voi...

Cliccare per credere

Come vedete: striscioni contro Napoli, cori del tipo "Vesuvio lavali col fuoco" e "Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani. Colerosi, terremotati, e col sapone non si sono mai lavati"

E li cantano loro, i napoletani!

Avete capito adesso?